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Terenzio - Hecyra - 03 03

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Pamphilvs

III.iii
Nequeo m<ea>rum rerum initium ullum invenire idoneum
unde exordiar narrare quae necopinanti accidunt;
partim quae perspexi hisce oculis, partim quae accepi auribus:
qua me propter exanimatum citius eduxi foras.
nam modo intro me ut corripui timidus, alio suspicans 365
morbo me visurum adfectam ac sensi esse uxorem: ei mihi!
postquam me aspexere ancillae advenisse, ilico omnes simul
laetae exclamant "venit", id quod me repente aspexerant.
sed continuo voltum earum sensi inmutari omnium,
quia tam incommode illic fors obtulerat adventum meum. 370
una illarum interea propere praecucurrit nuntians
me venisse: ego ei(u)s videndi cupidu' recta consequor.
postquam intro adveni, extemplo eiu' morbum cognovi miser;
nam neque ut celari posset tempu' spatium ullum dabat
neque voce alia ac res monebat ipsa poterat conqueri. 375
postquam aspexi, "o facinus indignum" inquam et corripui ilico
me inde lacrumans, incredibili re atque atroci percitus.
mater consequitur: iam ut limen exirem, ad genua accidit
lacrumans misera: miseritumst. profecto hoc sic est, ut puto:
omnibu' nobis ut res dant sese ita magni atque humiles sumus. 380
hanc habere orationem mecum principio institit:
"o mi Pamphile, abs te quam ob rem haec abierit causam vides;
nam vitiumst oblatum virgini olim a nescioquo inprobo.
nunc huc confugit te atque alios partum ut celaret suom."
sed quom orata huiu' reminiscor nequeo quin lacrumem miser. 385
"quaeque fors fortunast" inquit "nobis quae te hodie obtulit,
per eam te obsecramus ambae, si ius si fas est, uti
advorsa eiu' per te tecta tacitaque apud omnis sient.
si umquam erga te animo esse amico sensisti <ea>m, mi Pamphile,
sine labore hanc gratiam te uti sibi des pro illa nunc rogat. 390
ceterum de redducenda id facias quod in rem sit tuam.
parturire eam nec gravidam esse ex te solus consciu's:
nam aiunt tecum post duobu' concubuisse [eam] mensibus.
tum, postquam ad te venit, mensis agitur hic iam septimus:
quod te scire ipsa indicat res. nunc si potis est, Pamphile, 395
maxume volo doque operam ut clam partus eveniat patrem
atque adeo omnis. sed si id fieri non potest quin sentiant,
dicam abortum esse: scio nemini aliter suspectum fore
quin, quod veri similest, ex te recte eum natum putent.
continuo exponetur: hic tibi nil est quicquam incommodi, 400
et illi miserae indigne factam iniuriam contexeris."
pollicitus sum et servare in eo certumst quod dixi fidem.
nam de redducenda, id vero ne utiquam honestum esse arbitror
nec faciam, etsi amor me graviter consuetudoque ei(u)s tenet.
lacrumo quae posthac futurast vita quom in mentem venit 405
solitudoque. o fortuna, ut numquam perpetuo's data!
sed iam prior amor me ad hanc rem exercitatum reddidit,
quem ego tum consilio missum feci: idem [nunc] huc operam dabo.
adest Parmeno cum pueris: hunc minimest opus
in hac re adesse; nam olim soli credidi 410
ea me abstinuisse in principio quom datast.
vereor, si clamorem ei(u)s hic crebro exaudiat,
ne parturire intellegat. aliquo mihist
hinc ablegandu' dum parit Philumena.

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