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Svetonio - De Vita Caesarum - Domitianus - 11

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XI. Erat autem non solum magnae, sed etiam callidae inopinataeque saevitiae. Auctorem summarum pridie quam cruci figeret in cubiculum vocavit, assidere in toro iuxta coegit, securum hilaremque dimisit, partibus etiam de cena dignatus est. Arrecinum Clementem consularem, unum e familiaribus et emissariis suis, capitis condemnaturus, in eadem vel etiam maiore gratia habuit, quoad novissime simul gestanti, conspecto delatore eius, "Vis, inquit, nequissimum servum cras audiamus?"

Et quo contemptius abuteretur patentia hominum, numquam tristiorem sententiam sine praefatione clementiae pronuntiavit, ut non aliud iam certius atrocis exitus signum esset quam principii lenitas. Quosdam maiestatis reos in curiam induxerat, et cum praedixisset, experturum se illa die quam carus senatui esset, facile perfecerat ut etiam more maiorum puniendi condemnarentur; deinde atrocitate poenae conterritus, ad leniendam invidiam, intercessit his verbis (neque enim ab re fuit ipsa cognoscere): "Permittite, patres conscripti, a pietate vestra impetrari, quod scio me difficulter impetraturum, ut damnatis liberum mortis arbitrium indulgentis; nam et parcetis oculis vestris et intellegent me omnes senatui interfuisse."

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