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Svetonio - De Vita Caesarum - Vitellius - 15

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XV. Octavo imperii mense desciverunt ab eo exercitus Moesiarum atque Pannoniae, item ex transmarinis Iudaicus et Syriaticus, ac pars in absentis, pars in praesentis Vespasiani verba iurarunt. Ad retinendum ergo ceterorum hominum studium ac favorem, nihil non publice privatimque nullo adhibito modo largitus est. Delectum quoque ea condicione in urbe egit, ut voluntatis non modo missionem post victoriam, sed etiam veteranorum iustaque militiae commoda polliceretur. Vrgenti deinde terra marique hosti hinc fratrem cum classe ac tironibus et gladiatorum manu opposuit, hinc Betriacenses copias et duces; atque ubique aut superatus aut proditus, salutem sibi et milites sestertium a Flavio Sabino Vespasiani fratre pepigit; statimque pro gradibus Palati apud frequentes milites, cedere se imperio quod invitus recepisset professus, cunctis reclamantibus rem distulit ac nocte interposita primo diluculo sordidatus descendit ad rostra multisque cum lacrimis eadem illa, verum e libello testatus est. Rursus interpellante milite ac populo et ne deficeret hortante omnesque operam suam certatim pollicente, animum resumpsit Sabinumque et reliquos Flavianos nihil iam metuentis vi subita in Capitolium compulit, succensoque templo Iovis Optimi Maximi oppressit, cum et proelium et incendium e Tiberiana prospiceret domo inter epulas. Non multo post paenitens facti et in alios culpam conferens, vocata contione iuravit coegitque iurare et ceteros, nihil sibi antiquius quiete publica fore. Tunc solutum a latere pugionem consuli primum, deinde illo recusante magistratibus ac mox senatoribus singulis porrigens, nullo recipiente, quasi in aede Concordiae positurus abscessit. Sed quibusdam adclamantibus ipsum esse Concordiam, rediit nec solum retinere se ferrum affirmavit, verum etiam Concordiae recipere cognomen; suasitque senatui, ut legatos cum virginibus Vestalibus mitterent pacem aut certe tempus ad consultandum petituros.

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