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Scaena IX. Oedipus-Chorus-Iocasta
Oedipus Bene habet, peractum est: iusta persolvi patri.
iuvant tenebrae. quis deus tandem mihi
placatus atra nube perfundit caput?
quis scelera donat? conscium evasi diem.
nil, parricida, dexterae debes tuae:
lux te refugit. vultus Oedipodam hic decet.
Cho. En ecce, rapido saeva prosiluit gradu
Iocasta vaecors, qualis attonita et furens
Cadmea mater abstulit gnato caput
sensitve raptum. dubitat afflictum alloqui,
cupit pavetque. iam malis cessit pudor,
sed haeret ore prima vox. Iocasta Quid te vocem?
gnatumne? dubitas? gnatus es: gnatum pudet;
invite loquere gnate -- quo avertis caput
vacuosque vultus? Oe. Quis frui tenebris vetat?
quis reddit oculos? matris, en matris sonus!
perdidimus operam. congredi fas amplius
haut est nefandos. dividat vastum mare
dirimatque tellus abdita et quisquis sub hoc
in alia versus sidera ac solem avium
dependet orbis alterum ex nobis ferat.
Ioc.Fati ista culpa est: nemo fit fato nocens.
Oe. Iam parce verbis, mater, et parce auribus:
per has reliquias corporis trunci precor,
per inauspicatum sanguinis pignus mei,
per omne nostri nominis fas ac nefas.
Ioc. Quid, anime, torpes? socia cur scelerum dare
poenas recusas? omne confusum perit,
incesta, per te iuris humani decus:
morere et nefastum spiritum ferro exige.
non si ipse mundum concitans divum sator
corusca saeva tela iaculetur manu,
umquam rependam sceleribus poenas pares
mater nefanda. mors placet: mortis via
quaeratur. -- Agedum, commoda matri manum,
si parricida es. restat hoc operi ultimum:
rapiatur ensis; hoc iacet ferro meus
coniunx -- quid illum nomine haud vero vocas?
socer est. utrumne pectori infigam meo
telum an patenti conditum iugulo inprimam?
eligere nescis vulnus: hunc, dextra, hunc pete
uterum capacem, qui virum et gnatos tulit.
Cho. Iacet perempta. vulneri immoritur manus
ferrumque secum nimius eiecit cruor.
Oe. Fatidice te, te praesidem veri deum
compello: solum debui fatis patrem;
bis parricida plusque quam timui nocens
matrem peremi: scelere confecta est meo.
o Phoebe mendax, fata superavi impia.
Pavitante gressu sequere fallentes vias;
suspensa plantis efferens vestigia
caecam tremente dextera noctem rege.
ingredere praeceps, lubricos ponens gradus,
i profuge vade -- siste, ne in matrem incidas.
Quicumque fessi corpore et morbo graves
semanima trahitis pectora, en fugio, exeo:
relevate colla. mitior caeli status
posterga sequitur: quisquis exilem iacens
animam retentat, vividos haustus levis
concipiat. ite, ferte depositis opem:
mortifera mecum vitia terrarum extraho.
Violenta Fata et horridus Morbi tremor,
Maciesque et atra Pestis et rabidus Dolor,
mecum ite, mecum. ducibus his uti libet.
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[biancafarfalla] - [2015-07-29 17:39:15]