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Scaena II. Oedipus-Chorus-Creo
Oedipus Horrore quatior, fata quo vergant timens,
trepidumque gemino pectus affectu labat:
ubi laeta duris mixta in ambiguo iacent,
incertus animus scire cum cupiat timet.
Germane nostrae coniugis, fessis opem
si quam reportas, voce properata edoce.
Creo Responsa dubia sorte perplexa iacent.
Oe. Dubiam salutem qui dat adflictis negat.
Cr. Ambage flexa Delphico mos est deo
arcana tegere. Oe. Fare, sit dubium licet:
ambigua soli noscere Oedipodae datur.
Cr. Caedem expiari regiam exilio deus
et interemptum Laium ulcisci iubet:
non ante caelo lucidus curret dies
haustusque tutos aetheris puri dabit.
Oe.Et quis peremptor incluti regis fuit?
quem memoret ede Phoebus, ut poenas luat.
Cr. Sit, precor, dixisse tutum visu et auditu horrida;
torpor insedit per artus, frigidus sanguis coit.
ut sacrata templa Phoebi supplici intravi pede
et pias numen precatus rite summisi manus,
gemina Parnasi nivalis arx trucem fremitum dedit;
imminens Phoebea laurus tremuit et movit domum
ac repente sancta fontis lympha Castalii stetit.
incipit Letoa vates spargere horrentes comas
et pati commota Phoebum; contigit nondum specum,
emicat vasto fragore maior humano sonus:
'mitia Cadmeis remeabunt sidera Thebis,
si profugus Dircen Ismenida liquerit hospes
regis caede nocens, Phoebo iam notus et infans.
nec tibi longa manent sceleratae gaudia caedis:
tecum bella geres, natis quoque bella relinques,
turpis maternos iterum revolutus in ortus.'
Oe. Quod facere monitu caelitum iussus paro,
functi cineribus regis hoc decuit dari,
ne sancta quisquam sceptra violaret dolo.
regi tuenda maxime regum est salus:
quaerit peremptum nemo quem incolumem timet.
Cr. Curam perempti maior excussit timor.
Oe. Pium prohibuit ullus officium metus?
Cr. Prohibent nefandi carminis tristes minae.
Oe. Nunc expietur numinum imperio scelus.
Quisquis deorum regna placatus vides:
tu, tu penes quem iura praecipitis poli,
tuque, o sereni maximum mundi decus,
bis sena cursu signa qui vario legis,
qui tarda celeri saecula evolvis rota,
sororque fratri semper occurrens tuo,
noctivaga Phoebe, quique ventorum potens
aequor per altum caerulos currus agis,
et qui carentis luce disponis domos,
adeste: cuius Laius dextra occidit,
hunc non quieta tecta, non fidi lares,
non hospitalis exulem tellus ferat:
thalamis pudendis doleat et prole impia;
hic et parentem dextera perimat sua,
faciatque (num quid gravius optari potest?)
quidquid ego fugi. Non erit veniae locus:
per regna iuro quaeque nunc hospes gero
et quae reliqui perque penetrales deos,
per te, pater Neptune, qui fluctu levi
utrimque nostro geminus alludis solo;
et ipse nostris vocibus testis veni,
fatidica vatis ora Cirrhaeae movens:
ita molle senium ducat et summum diem
securus alto reddat in solio parens
solasque Merope noverit Polybi faces,
ut nulla sontem gratia eripiet mihi.
Sed quo nefandum facinus admissum loco est,
memorate: aperto Marte an insidiis iacet?
Cr. Frondifera sanctae nemora Castaliae petens
calcavit artis obsitum dumis iter,
trigemina qua se spargit in campos via.
secat una gratum Phocidos Baccho solum,
unde altus arva deserit, caelum petens,
clementer acto colle Parnasos biceps;
at una bimaris Sisyphi terras adit
Olenia in arva; tertius trames cava
convalle serpens tangit errantes aquas
gelidumque dirimit amnis Olmii vadum:
hic pace fretum subita praedonum manus
aggressa ferro facinus occultum tulit.
In tempore ipso sorte Phoebea excitus
Tiresia tremulo tardus accelerat genu
comesque Manto luce viduatum trahens.
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[degiovfe] - [2013-03-30 18:02:27]