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Seneca - De Consolatione Ad Marciam - 26

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1. Puta itaque ex illa arce caelesti patrem tuum Marcia, cui tantum apud te auctoritatis erat quantum tibi apud filium tuum, non illo ingenio, quo civilia bella deflevit, quo proscribentis in aeternum ipse proscripsit, sed tanto elatiore, quanto est ipse sublimior, dicere:
2. 'Cur te, filia, tam longa tenet aegritudo? Cur in tanta veri ignoratione versaris, ut inique actum cum filio tuo iudices, quod integro domus statu integer ipse se ad maiores recepit suos? Nescis quantis fortuna procellis disturbet omnia? Quam nullis benignam facilemque se praestiterit, nisi qui minimum cum illa contraxerant? Regesne tibi nominem felicissimos futuros, si maturius illos mors instantibus subtraxisset malis? an Romanos duces, quorum nihil magnitudini deerit, si aliquid aetati detraxeris? an nobilissimos viros clarissimosque ad ictum militaris gladi composita cervice curvatos?
3. Respice patrem atque avum tuum: ille in alieni percussoris venit arbitrium; ego nihil in me cuiquam permisi et cibo prohibitus ostendi tam magno me quam videbar animo scripsisse. Cur in domo nostra diutissime lugetur qui felicissime moritur? Coimus omnes in unum videmusque non alta nocte circumdati nil apud vos, ut putatis, optabile, nil excelsum, nil splendidum, sed humilia cuncta et gravia et anxia et quotam partem luminis nostri cernentia!
4. Quid dicam nulla hic arma mutuis furere concursibus nec classes classibus frangi nec parricidia aut fingi aut cogitari nec fora litibus strepere dies perpetuos, nihil in obscuro, detectas mentes et aperta praecordia et in publico medioque vitam et omnis aevi prospectum venientiumque?
5. 'Iuvabat unius me saeculi facta componere in parte ultima mundi et inter paucissimos gesta. Tot saecula, tot aetatium contextum, seriem, quicquid annorum est, licet visere; licet surrectura, licet ruitura regna prospicere et magnarum urbium lapsus et maris novos cursus.
6. Nam si tibi potest solacio esse desideri tui commune fatum, nihil quo stat loco stabit, omnia sternet abducetque secum vetustas. Nec hominibus solum (quota enim ista fortuitae potentiae portio est?), sed locis, sed regionibus, sed mundi partibus ludet. Totos supprimet montes et alibi rupes in altum novas exprimet; maria sorbebit, flumina avertet et commercio gentium rupto societatem generis humani coetumque dissolvet; alibi hiatibus vastis subducet urbes, tremoribus quatiet et ex infimo pestilentiae halitus mittet et inundationibus quicquid habitatur obducet necabitque omne animal orbe submerso et ignibus vastis torrebit incendetque mortalia. Et cum tempus advenerit, quo se mundus renovaturus extinguat, viribus ista se suis caedent et sidera sideribus incurrent et omni flagrante materia uno igni quicquid nunc ex disposito lucet ardebit.
7. Nos quoque felices animae et aeterna sortitae, cum deo visum erit iterum ista moliri, labentibus cunctis et ipsae parva ruinae ingentis accessio in antiqua elementa vertemur.'
Felicem filium tuum, Marcia, qui ista iam novit!

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