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Seneca - De Consolatione Ad Marciam - 21

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1. 'Nimis tamen cito perit et inmaturus.' Primum puta illi superfuisse -- comprende quantum plurimum procedere homini licet: quantum est? Ad brevissimum tempus editi, cito cessuri loco venienti inpactum hoc prospicimus hospitium. De nostris aetatibus loquor, quas incredibili celeritate convoluit? Computa urbium saecula: videbis quam non diu steterint etiam quae vetustate gloriantur. Omnia humana brevia et caduca sunt et infiniti temporis nullam partem occupantia.
2. Terram hanc cum urbibus populisque et fluminibus et ambitu maris puncti loco ponimus ad universa referentes: minorem portionem aetas nostra quam puncti habet, si omni tempori comparetur, cuius maior est mensura quam mundi, utpote cum ille se intra huius spatium totiens remetiatur. Quid ergo interest id extendere cuius quantumcumque fuerit incrementum non multum aberit a nihilo? Uno modo multum est quod vivimus, si satis est.
3. Licet mihi vivaces et in memoriam traditae senectutis viros nomines, centenos denosque percenseas annos: cum ad omne tempus dimiseris animum, nulla erit illa brevissimi longissimique aevi differentia, si inspecto quanto quis vixerit spatio comparaveris quanto non vixerit.
4. Deinde sibi maturus decessit; vixit enim quantum debuit vivere, nihil illi iam ultra supererat. Non una hominibus senectus est, ut ne animalibus quidem: intra quattuordecim quaedam annos defetigavit, et haec illis longissima aetas est quae homini prima; dispar cuique vivendi facultas data est. Nemo nimis cito moritur, quia victurus diutius quam vixit non fuit.
5. Fixus est cuique terminus: manebit semper ubi positus est nec illum ulterius diligentia aut gratia promovebit. Sic habe, te illum [ulterius diligentiam] ex consilio perdidisse: tulit suum metasque dati pervenit ad aevi.
6. Non est itaque quod sic te oneres: 'potuit diutius vivere'. Non est interrupta eius vita nec umquam se annis casus intericit. Solvitur quod cuique promissum est; eunt via sua fata nec adiciunt quicquam nec ex promisso semel demunt. Frustra voa ac studia sunt: habebit quisque quantum illi dies primus adscripsit. Ex illo quo primum lucem vidit iter mortis ingressus est accessitque fato propior et illi ipsi qui adiciebantur adulescentiae anni vitae detrahebantur.
7. In hoc omnes errore versamur, ut non putemus ad mortem nisi senes inclinatosque iam vergere, cum illo infantia statim et iuventa, omnis aetas ferat. Agunt opus suum fata: nobis sensum nostrae necis auferunt, quoque facilius obrepat, mors sub ipso vitae nomine latet: infantiam in se pueritia convertit, pueritiam pubertas, iuvenem senex abstulit. Incrementa ipsa, si bene computes, damna sunt.

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