Seneca - De Consolatione Ad Marciam - 13
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1. Ne nimis admiretur Graecia illum patrem qui in ipso sacrificio nuntiata filii morte tibicinem tantum tacere iussit et coronam capiti detraxit, cetera rite perfecit, Pulvillus effecit pontifex, cui postem tenenti et Capitolium dedicanti mors filii nuntiata est. Quam ille exaudisse dissimulavit et sollemnia pontificii carminis verba concepit gemitu non interrumpente precationem et ad filii sui nomen Iove propitiato.
2. Putasne eius luctus aliquem finem esse debere, cuius primus dies et primus impetus ab altaribus publicis et fausta nuncupatione non abduxit patrem? Dignus mehercules fuit memorabili dedicatione, dignus amplissimo sacerdotio, qui colere deos ne iratos quidem destitit. Idem tamen, ut redit domum, et inplevit oculos et aliquas voles flebiles misit; sed peractis quae mos erat praestare defunctis ad Capitolinum illum redit vultum.
3. Paulus circa illos nobilissimi triumphi dies quo vinctum ante currum egit Persen [incliti regis nomen] duos filios in adoptionem dedit, <duos> quos sibi servaverat extulit. Quales retentos putas, cum inter commodatos Scipio fuisset? Non sine motu vacuum Pauli currum populus Romanus aspexit. Contionatus est tamen et egit dis gratias quod compos voi factus esset; precatum enim se ut, si quid ob ingentem victoriam invidiae dandum esset, id suo potius quam publico damno solveretur.
4. Vides quam magno animo tulerit? orbitati suae gratulatus est. Et quem magis poterat permovere tanta mutatio? solacia simul atque auxilia perdidit. Non contigit tamen tristem Paulum Persi videre.
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