Seneca - De Consolatione Ad Marciam - 12
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1. Dolor tuus, si modo ulla illi ratio est, utrum sua spectat incommoda an eius qui decessit? Utrum te in amisso filio movet quod nullas ex illo voluptates cepisti, an quod maiores, si diutius vixisset, percipere potuisti?
2. Si nullas percepisse te dixeris, tolerabilius efficies detrimentum tuum; minus enim homines desiderant ea ex quibus nihil gaudi laetitiaeque perceperant. Si confessa fueris percepisse magnas voluptates, oportet te non de eo quod detractum est queri, sed de eo gratias agere quod contigit; provenerunt enim satis magni fructus laborum tuorum ex ipsa educatione, nisi forte ii qui catulos avesque et frivola animorum oblectamenta summa diligentia nutriunt fruuntur aliqua voluptate ex visu tactuque et blanda adulatione mutorum, liberos nutrientibus non fructus educationis ipsa educatio est. Licet itaque nil tibi industria eius contulerit, nihil diligentia custodierit, nihil prudentia suaserit, ipsum quod habuisti, quod amasti, fructus est.
3. 'At potuit longior esse, maior.' Melius tamen tecum actum est quam si omnino non contigisset, quoniam, si ponatur electio utrum satius sit non diu felicem esse an numquam, melius est discessura nobis bona quam nulla contingere. Utrumne malles degenerem aliquem et numerum tantum nomenque filii expleturum habuisse an tantae indolis quantae tuus fuit, iuvenis cito prudens, cito pius, cito maritus, cito pater, cito omnis officii curiosus, cito sacerdos, omnia tamquam properans? Nulli fere et magna bona et diuturna contingunt, non durat nec ad ultimum exit nisi lenta felicitas: filium tibi di inmortales non diu daturi statim talem dederunt qualis diu effici <vix> potest.
4. Ne illud quidem dicere potes, electam te a dis cui frui non liceret filio: circumfer per omnem notorum, ignotorum frequentiam oculos, occurrent tibi passi ubique maiora. Senserunt ista magni duces, senserunt principes; ne deos quidem fabulae immunes reliquerunt, puto, ut nostrorum funerum levamentum esset etiam divina concidere. Circumspice, inquam, omnis: nullam <tam> miseram nominabis domum quae non inveniat in miseriore solacium.
5. Non mehercules tam male de moribus tuis sentio ut putem posse te levius pati casum tuum, si tibi ingentem lugentium numerum produxero: malivolum solacii genus est turba miserorum. Quosdam tamen referam, non ut scias hoc solere hominibus accidere -- ridiculum est enim mortalitatis exempla colligere - sed ut scias fuisse multos qui lenirent aspera placide ferendo.
6. A felicissimo incipiam. L. Sulla filium amisit, nec ea res aut malitiam eius et acerrimam virtutem in hostes civesque contudit aut effecit ut cognomen illud usurpasse falso videretur, quod amisso filio adsumpsit nec odia hominum veritus, quorum malo illae nimis secundae res constabant, nec invidiam deorum, quorum illud crimen erat, Sulla tam felix. Sed istud inter res nondum iudicatas abeat, qualis Sulla fuerit -- etiam inimici fatebuntur bene illum arma sumpsisse, bene posuisse: hoc de quo agitur constabit, non esse maximum malum quod etiam ad felicissimos pervenit.
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