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Seneca - De Consolatione Ad Helviam - 16

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1. Non est quod utaris excusatione muliebris nominis, cui paene concessum est inmoderatum in lacrimis ius, non inmensum tamen; et ideo maiores decem mensum spatium lugentibus viros dederunt ut cum pertinacia muliebris maeroris publica constitutione deciderent. Non prohibuerunt luctus sed finierunt; nam et infinito dolore, cum aliquem ex carissimis amiseris, adfici stulta indulgentia est, et nullo inhumana duritia: optimum inter pietatem et rationem temperamentum est et sentire desiderium et opprimere.
2. Non est quod ad quasdam feminas respicias quarum tristitiam semel sumptam mors finivit (nosti quasdam quae amissis filiis inposita lugubria numquam exuerunt): a te plus exigit vita ab initio fortior; non potest muliebris excusatio contingere ei a qua omnia muliebria vitia afuerunt.
3. Non te maximum saeculi malum, inpudicitia, in numerum plurium adduxit; non gemmae te, non margaritae flexerunt; non tibi divitiae velut maximum generis humani bonum refulserunt; non te, bene in antiqua et severa institutam domo, periculosa etiam probis peiorum detorsit imitatio; numquam te fecunditatis tuae, quasi exprobraret aetatem, puduit, numquam more aliarum, quibus omnis commendatio ex forma petitur, tumescentem uterum abscondisti quasi indecens onus, nec intra viscera tua conceptas spes liberorum elisisti;
4. non faciem coloribus ac lenociniis polluisti; numquam tibi placuit vestis quae nihil amplius nudaret cum poneretur: unicum tibi ornamentum, pulcherrima et nulli obnoxia aetati forma, maximum decus visa est pudicitia.
5. Non potes itaque ad optinendum dolorem muliebre nomen praetendere, ex quo te virtutes tuae seduxerunt; tantum debes a feminarum lacrimis abesse quantum <a> vitiis. Ne feminae quidem te sinent intabescere vulneri tuo, sed levior necessario maerore cito defunctam iubebunt exsurgere, si modo illas intueri voles feminas quas conspecta virtus inter magnos viros posuit.
6. Corneliam ex duodecim liberis ad duos fortuna redegerat: si numerare funera Corneliae velles, amiserat decem, si aestimare, amiserat Gracchos. Flentibus tamen circa se et fatum eius execrantibus interdixit ne fortunam accusarent, quae sibi filios Gracchos dedisset. Ex hac femina debuit nasci qui diceret in contione, 'tu matri meae male dicas quae me peperit?' Multo mihi vox matris videtur animosior: filius magno aestimavit Gracchorum natales, mater et funera.
7. Rutilia Cottam filium secuta est in exilium et usque eo fuit indulgentia constricta ut mallet exilium pati quam desiderium, nec ante in patriam quam cum filio rediit. Eundem iam reducem et in re publica florentem tam fortiter amisit quam secuta est, nec quisquam lacrimas eius post elatum filium notavit. In expulso virtutem ostendit, in amisso prudentiam; nam et nihil illam a pietate deterruit et nihil in tristitia supervacua stultaque detinuit. Cum his te numerari feminis volo; quarum vitam semper imitata es, earum in coercenda comprimendaque aegritudine optime sequeris exemplum.

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