Seneca - De Consolatione Ad Helviam - 10
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1. Bene ergo exilium tulit Marcellus nec quicquam in animo eius mutavit loci mutatio, quamvis eam paupertas sequeretur; in qua nihil mali esse, quisquis modo nondum pervenit in insaniam omnia subvertentis avaritiae atque luxuriae intellegit. Quantulum enim est quod in tutelam hominis necessarium est! et cui deesse hoc potest ullam modo virtutem habenti?
2. Quod ad me quidem pertinet, intellego me non opes sed occupationes perdidisse. Corporis exigua desideria sunt: frigus summoveri vult, alimentis famem ac sitim extinguere; quidquid extra concupiscitur, vitiis, non usibus laboratur. Non est necesse omne perscrutari profundum nec strage animalium ventrem onerare nec conchylia ultimi maris ex ignoto litore eruere: di istos deaeque perdant quorum luxuria tam invidiosi imperii fines transcendit!
3. Ultra Phasin capi volunt quod ambitiosam popinam instruat, nec piget a Parthis, a quibus nondum poenas repetimus, aves petere. Undique convehunt omnia nota fastidienti gulae; quod dissolutus deliciis stomachus vix admittat ab ultimo portatur oceano; vomunt ut edant, edunt ut vomant, et epulas quas toto orbe conquirunt nec concoquere dignantur. Ista si quis despicit, quid illi paupertas nocet? Si quis concupiscit, illi paupertas etiam prodest; invitus enim sanatur et, si remedia ne coactus quidem recipit, interim certe, dum non potest, illa nolenti similis est.
4. C. Caesar [Augustus], quem mihi videtur rerum natura edidisse ut ostenderet quid summa vitia in summa fortuna possent, centiens sestertio cenavit uno die; et in hoc omnium adiutus ingenio vix tamen invenit quomodo trium provinciarum tributum una cena fieret.
5. O miserabiles, quorum palatum nisi ad pretiosos cibos non excitatur! Pretiosos autem non eximius sapor aut aliqua faucium dulcedo sed raritas et difficultas parandi facit. Alioqui, si ad sanam illis mentem placeat reverti, quid opus est tot artibus ventri servientibus? quid mercaturis? quid vastatione silvarum? quid profundi perscrutatione? Passim iacent alimenta quae rerum natura omnibus locis disposuit; sed haec velut caeci transeunt et omnes regiones pervagantur, maria traiciunt et, cum famem exiguo possint sedare, magno inritant.
6. Libet dicere: 'quid deducitis naves? Quid manus et adversus feras et adversus homines armatis? Quid tanto tumultu discurritis? Quid opes opibus adgeritis? Non vultis cogitare quam parva vobis corpora sint? Nonne furor et ultimus mentium error est, cum tam exiguum capias, cupere multum? Licet itaque augeatis census, promoveatis fines, numquam tamen corpora vestra laxabitis. Cum bene cesserit negotiatio, multum militia rettulerit, cum indagati undique cibi coierint, non habebitis ubi istos apparatus vestros conlocetis.
7. Quid tam multa conquiritis? Scilicet maiores nostri, quorum virtus etiamnunc vitia nostra sustentat, infelices erant, qui sibi manu sua parabant cibum, quibus terra cubile erat, quorum tecta nondum auro fulgebant, quorum templa nondum gemmis nitebant; itaque tunc per fictiles deos religiose iurabatur: qui illos invocaverant, ad hostem morituri, ne fallerent, redibant.
8. Scilicet minus beate vivebat dictator noster qui Samnitium legatos audit cum vilissimum cibum in foco ipse manu sua versaret -- illa qua iam saepe hostem percusserat laureamque in Capitolini Iovis gremio reposuerat -- quam Apicius nostra memoria vixit, qui in ea urbe ex qua aliquando philosophi velut corruptores iuventutis abire iussi sunt scientiam popinae professus disciplina sua saeculum infecit.' Cuius exitum nosse operae pretium est.
9. Cum sestertium milliens in culinam coniecisset, cum tot congiaria principum et ingens Capitolii vectigal singulis comisationibus exsorpsisset, aere alieno oppressus rationes suas tunc primum coactus inspexit: superfuturum sibi sestertium centiens computavit et velut in ultima fame victurus si in sestertio centiens vixisset, veneno vitam finivit.
10. Quanta luxuria erat cui centiens sestertium egestas fuit! i nunc et puta pecuniae modum ad rem pertinere, non animi. Sestertium centiens aliquis extimuit et quod alii voto petunt veneno fugit. Illi vero tam pravae mentis homini ultima potio saluberrima fuit: tunc venena edebat bibebatque cum inmensis epulis non delectaretur tantum sed gloriaretur, cum vitia sua ostentaret, cum civitatem in luxuriam suam converteret, cum iuventutem ad imitationem sui sollicitaret etiam sine malis exemplis per se docilem.
11. Haec accidunt divitias non ad rationem revocantibus, cuius certi fines sunt, sed ad vitiosam consuetudinem, cuius inmensum et incomprensibile arbitrium est. Cupiditati nihil satis est, naturae satis est etiam parum. Nullum ergo paupertas exulis incommodum habet; nullum enim tam inops exilium est quod non alendo homini abunde fertile sit.
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