Quintiliano - Istitutiones - Liber Ii - 2
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II. De moribus et officiis praeceptoris.
[1] Ergo cum ad eas in studiis uires peruenerit puer ut quae prima esse praecepta rhetorum diximus mente consequi possit, tradendus eius artis magistris erit. Quorum in primis [2] inspici mores oportebit: quod ego non idcirco potissimum in hac parte tractare sum adgressus quia non in ceteris quoque doctoribus idem hoc examinandum quam diligentissime putem, sicut testatus sum libro priore, sed quod magis necessariam [3] eius rei mentionem facit aetas ipsa discentium. Nam et adulti fere pueri ad hos praeceptores transferuntur et apud eos iuuenes etiam facti perseuerant, ideoque maior adhibenda tum cura est, ut et teneriores annos ab iniuria sanctitas docentis custodiat et ferociores a licentia grauitas deterreat. [4] Neque uero sat est summam praestare abstinentiam, nisi disciplinae seueritate conuenientium quoque ad se mores adstrinxerit.
Sumat igitur ante omnia parentis erga discipulos suos animum, ac succedere se in eorum locum a quibus sibi liberi [5] tradantur existimet. Ipse nec habeat uitia nec ferat. Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur. Plurimus ei de honesto ac bono sermo sit: nam quo saepius monuerit, hoc rarius castigabit; minime iracundus, nec tamen eorum quae emendanda erunt dissimulator, simplex in docendo, patiens laboris, adsiduus [6] potius quam inmodicus. Interrogantibus libenter respondeat, non interrogantes percontetur ultro. In laudandis discipulorum dictionibus nec malignus nec effusus, quia [7] res altera taedium laboris, altera securitatem parit. In emendando quae corrigenda erunt non acerbus minimeque conementumeliosus; nam id quidem multos a propo studendi [8] fugat, quod quidam sic obiurgant quasi oderint. Ipse aliquid, immo multa cotidie dicat quae secum auditores referant. Licet enim satis exemplorum ad imitandum ex lectione suppeditet, tamen uiua illa, ut dicitur, uox alit plenius, praesupcipueque praeceptoris quem discipuli, si modo recte sunt instituti, et amant et uerentur. Vix autem dici potest quanto libentius imitemur eos quibus fauemus.
[9] Minime uero permittenda pueris, ut fit apud plerosque, adsurgendi exultandique in laudando licentia: quin etiam iuuenum modicum esse, cum audient, testimonium debet. Ita fiet ut ex iudicio praeceptoris discipulus pendeat, atque [10] id se dixisse recte quod ab eo probabitur credat. Illa uero uitiosissima, quae iam humanitas uocatur, inuicem qualiacumque laudandi cum est indecora et theatralis et seuere institutis scholis aliena, tum studiorum perniciosissima hostis: superuacua enim uidentur cura ac labor parata quidquid [11] effuderint laude. Vultum igitur praeceptoris intueri tam qui audiunt debent quam ipse qui dicit: ita enim probanda atque improbanda discernent; sic stilo facultas conprotinget, [12] auditione iudicium. At nunc proni atque succincti ad omnem clausulam non exsurgunt modo uerum etiam excurrunt et cum indecora exultatione conclamant. Id mutuum est et ibi declamationis fortuna. Hinc tumor et uana de se persuasio usque adeo ut illo condiscipulorum tumultu inflati, si parum a praeceptore laudentur, ipsi de illo male sentiant. [13] Sed se quoque praeceptores intente ac modeste audiri uelint: non enim iudicio discipulorum dicere debet magister, sed discipulus magistri. Quin, si fieri potest, intendendus animus in hoc quoque, ut perspiciat quae quisque et quo modo laudet, et placere quae bene dicet non suo magis quam eorum nomine delectetur qui recte iudicabunt.
[14] Pueros adulescentibus permixtos sedere non placet mihi. Nam etiamsi uir talis qualem esse oportet studiis moribusque praepositum modestam habere potest etiam iuuentutem, tamen uel infirmitas a robustioribus separanda est, et carendum non solum crimine turpitudinis uerum etiam suspicione. [15] Haec notanda breuiter existimaui. Nam ut absit ab ultimis uitiis ipse ac schola ne praecipiendum quidem credo. Ac si quis est qui flagitia manifesta in eligendo filii praeceptore non uitet, iam hinc sciat cetera quoque, quae ad utilitatem iuuentutis componere conamur, esse sibi hac parte omissa superiuuenuacua.
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