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Quid tibi vis, mulier nigris dignissima barris?
munera quid mihi quidve tabellas
mittis nec firmo iuveni neque naris obesae?
namque sagacius unus odoror,
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polypus an gravis hirsutis cubet hircus in alis
quam canis acer ubi lateat sus.
qui sudor vietis et quam malus undique membris
crescit odor, cum pene soluto
indomitam properat rabiem sedare, neque illi
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iam manet umida creta colorque
stercore fucatus crocodili iamque subando
tenta cubilia tectaque rumpit.
vel mea cum saevis agitat fastidia verbis:
«Inachia langues minus ac me;
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Inachiam ter nocte potes, mihi semper ad unum
mollis opus. pereat male quae te
Lesbia quaerenti taurum monstravit inertem.
cum mihi Cous adesset Amyntas,
cuius in indomito constantior inguine nervus
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quam nova collibus arbor inhaeret.
muricibus Tyriis iteratae vellera lanae
cui properabantur? tibi nempe,
ne foret aequalis inter conviva, magis quem
diligeret mulier sua quam te.
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o ego non felix, quam tu fugis, ut pavet acris
agna lupos capreaeque leones.»
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