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XVII. Cultus autem pratorum magis curae quam laboris est. Primum, ne stirpes aut spinas validioris incrementi herbas inesse patiamur; atque alias ante hiemem, et per autumnum exstirpemus, ut rubos, virgulta, iuncos; alias per ver evellamus, ut intuba ac solstitiales spinas; ac neque suem velimus impasci, quoniam rostro suffodiat et cespites excitet; neque pecora maiora, nisi cum siccissimum solum est, quia udo demergunt ungulas, et atterunt scinduntque radices herbarum. Tum deinde macriora et pendula loca mense Februario luna crescente fimo iuvanda sunt. Omnesque lapides et siqua obiacent falcibus noxia, colligi debent, ac longius exportari, submittique pro natura locorum aut temporius aut serius. Sunt etiam quaedam prata situ vetustatis obducta, quibus mederi solent agricolae veteri eraso musco seminibusque de tabulato superiectis, vel ingesto stercore. Quorum neutrum tantum prodest, quantum si cinerem saepius ingeras. Ea res muscum enecat. Attamen pigriora sunt ista remedia, cum sit efficacissimum de integro locum exarare. Sed hoc, si prata accepimus, facere debemus. Sin autem nova fuerint instituenda, vel antiqua renovanda, (nam multa sunt, ut dixi, quae negligentia exolescant, et fiant sterilia) ea expedit interdum etiam frumenti causa exarare, quia talis ager post longam desidiam laetas segetes affert. Igitur eum locum, quem prato destinaverimus, aestate proscissum subactumque saepius per autumnum rapis vel napo vel etiam faba conseremus; insequente deinde anno, frumento; tertio diligenter arabimus, omnesque validiores herbas et rubos et arbores, quae interveniunt radicibus, exstirpabimus, nisi si fructus arbusti id facere nos prohibuerit. Deinde viciam permixtam seminibus foeni seremus. Tum glaebas sarculis resolvemus, et inducta crate coaequabimus, grumosque, quos ad versuram plerumque tractae faciunt crates, dissipabimus ita, <ut> necubi ferramentum foenisecis possit offendere. Sed eam viciam non convenit ante desecare, quam permaturuerit, et aliqua semina subiacenti solo iecerit. Tum foenisecas oportet inducere et desectam herbam religare et exportare; deinde locum rigare, si fuerit facultas aquae; si tamen terra densior est. Nam in resoluta humo non expedit inducere maiorem vim rivorum, prius quam conspissatum et herbis colligatum sit solum: quoniam impetus aquarum proluit terram, nudatisque radicibus gramina non patitur coalescere. Propter quod ne pecora quidem oportet teneris adhuc et subsidentibus pratis immittere, sed quotiens herba prosiluerit, falcibus desecare. Nam pecudes, ut ante iam dixi, molli solo infigunt ungulas, atque interruptas non sinunt herbarum radices serpere et condensari. Altero tamen anno minora pecora post foenisicia permittemus admitti, si modo siccitas et conditio loci patietur. Tertio deinde cum pratum solidius ac durius erit, poterit etiam maiores recipere pecudes. Sed in totum curandum est, ut secundum Favonii exortum mense Februario circa Idus immixtis seminibus foeni macriora loca et utique celsiora stercorentur. Nam editior clivus praebet etiam subiectis alimentum, cum superveniens imber aut manu rivus perductus succum stercoris in inferiorem partem secum trahit. Atque ideo fere prudentes agricolae etiam in aratis collem magis, quam vallem stercorant, quoniam, ut dixi, pluviae semper omnem pinguiorem materiam in ima deducunt.
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[degiovfe] - [2016-03-05 13:20:36]