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Cicerone - Rhetorica - Orator - 69

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LXIX. Sed magnam exercitationem res flagitat, ne quid eorum qui genus hoc secuti non tenuerunt simile faciamus, ne aut verba traiciamus aperte, quo melius aut cadat aut volvatur oratio; [230] quod se L. Caelius Antipater in prooemio belli Punici nisi necessario facturum negat. O virum simplicem qui nos nihil celet, sapientem qui serviendum necessitati putet! Sed hic omnino rudis; nobis autem in scribendo atque in dicendo necessitatis excusatio non probatur; nihil est enim necesse et, si quid esset, id necesse tamen non erat confiteri. Et hic quidem, qui hanc a Laelio, ad quem scripsit, cui se purgat, veniam petit, et utitur ea traiectione verborum et nihilo tamen aptius explet concluditque sententias. Apud alios autem et Asiaticos maxime numero servientes inculcata reperias inania quaedam verba quasi complementa numerorum. Sunt etiam qui illo vitio, quod ab Hegesia maxime fluxit, infringendis concidendisque numeris in quoddam genus abiectum incidant versiculorum simillimum. [231] Tertium est, in quo fuerunt fratres illi Asiaticorum rhetorum principes Hierocles et Menecles minime mea sententia contemnendi. Etsi enim a forma veritatis et ab Atticorum regula absunt, tamen hoc vitium compensant vel facultate vel copia. Sed apud eos varietas non erat, quod omnia fere concludebantur uno modo. Quae vitia qui fugerit, ut neque verbum ita traiciat ut id de industria factum intellegatur, neque inferciens verba quasi rimas expleat, nec minutos numeros sequens concidat delumbetque sententias, nec sine ulla commutatione in eodem semper versetur genere numerorum, is omnia fere vitia vitaverit. Nam de laudibus multa diximus, quibus sunt illa perspicue vitia contraria.

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[kono67] - [2009-02-08 23:01:36]

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