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LXIII. [212] Quo autem pacto deceat incise membratimve dici iam videbimus; nunc quot modis mutentur comprehensiones conclusionesque dicendum est. Fluit omnino numerus a primo tum incitatius brevitate pedum, tum proceritate tardius. Cursum contentiones magis requirunt, eitiones rerum tarditatem. Insistit autem ambitus modis pluribus, e quibus unum est secuta Asia maxime, qui dichoreus vocatur, cum duo extremi chorei sunt, id est e singulis longis et brevibus. Explanandum est enim, quod ab aliis eidem pedes aliis vocabulis nominantur. [213] Dichoreus non est ille quidem sua sponte vitiosus in clausulis, sed in orationis numero nihil est tam vitiosum quam si semper est idem. Cadit autem per se ille ipse praeclare, quo etiam satietas formidanda est magis. Me stante C. Carbo C. F. tribunus plebis in contione dixit his verbis: O Marce Druse, patrem appello—haec quidem duo binis pedibus incisim; dein membratim: Tu dicere solebas sacram esse rem publicam;—haec item membra ternis; [214] post ambitus: "Quicumque eam violavissent, ab omnibus esse ei poenas persolutas"—dichoreus; nihil enim ad rem, extrema illa longa sit an brevis; deinde: Patris dictum sapiens temeritas fili comprobavit—hoc dichoreo tantus clamor contionis excitatus est, ut admirabile esset. Quaero nonne id numerus effecerit? Verborum ordinem immuta, fac sic: "Comprobavit fili temeritas, iam nihil erit, etsi temeritas ex tribus brevibus et longa est, quem Aristoteles ut optimum probat, a quo dissentio." [215] "At eadem verba, eadem sententia." Animo istuc satis est, auribus non satis. Sed id crebrius fieri non oportet; primum enim numerus agnoscitur, deinde satiat, postea cognita facilitate contemnitur.
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[kono67] - [2009-02-08 22:56:18]