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LXII. [209] Genus autem hoc orationis neque totum adsumendum est ad causas forensis neque omnino repudiandum, si enim semper utare, cum satietatem adfert tum quale sit etiam ab imperitis agnoscitur; detrahit praeterea actionis dolorem, aufert humanum sensum auditoris, tollit funditus veritatem et fidem. Sed quoniam adhibenda non numquam est, primum videndum est quo loco, deinde quam diu retinenda sit, tum quot modis commutanda. [210] Adhibenda est igitur numerosa oratio, si aut laudandum est aliquid ornatius, ut nos in accusationis secundo de Siciliae laude diximus, ut in senatu de consulatu meo, aut exponenda narratio, quae plus dignitatis desiderat quam doloris, ut in quarto accusationis de Hennensi Cerere, de Segestana Diana, de Syracusarum situ diximus. Saepe etiam in amplificanda re concessu omnium funditur numerose et volubiliter oratio. Id nos fortasse non perfecimus, conati quidem saepissime sumus; quod plurimis locis perorationes nostrae voluisse nos atque animo contendisse declarant. Id autem tum valet cum is qui audit ab oratore iam obsessus est ac tenetur. Non enim id agit ut insidietur et observet, sed iam favet processumque vult dicendique vim admirans non anquirit quid reprehendat. [211] Haec autem forma retinenda non diu est, nec dico in peroratione, quam ipsam includit, sed in orationis reliquis partibus. Nam cum sis eis locis usus quibus ostendi licere, transferenda tota dictio est ad illa quae nescio cur, cum Graeci kommata et kola nominent, nos non recte incisa et membra dicamus. Neque enim esse possunt rebus ignotis nota nomina, sed cum verba aut suavitatis aut inopiae causa transferre soleamus, in omnibus hoc fit artibus, ut, cum id appellandum sit quod propter rerum ignorationem ipsarum nullum habuerit ante nomen, necessitas cogat aut novum facere verbum aut a simili mutuari.
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[kono67] - [2009-01-30 23:14:01]