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LVI. ita translata aut facta aut coniuncta verba facile sunt cognita, quia sumebantur e consuetudine cotidianoque sermone. Numerus autem non domo depromebatur neque habebat aliquam necessitudinem aut cognationem cum oratione. Itaque serius aliquanto notatus et cognitus quasi quandam palaestram et extrema liniamenta orationi attulit. [187] Quod si et angusta quaedam atque concisa et alia est dilatata et fusa oratio, necesse est id non litterarum accidere natura, sed intervallorum longorum et brevium varietate; quibus implicata atque permixta oratio quoniam tum stabilis est tum volubilis, necesse est eius modi vi naturam numeri contineri. Nam circuitus ille, quem saepe iam diximus, incitatior numero ipso fertur et labitur, quoad perveniat ad finem et insistat. Perspicuum est igitur numeris astrictam orationem esse debere, carere versibus.
[188] Sed hi numeri poeticine sint an ex alio genere quodam deinceps est videndum. Nullus est igitur numerus extra poeticos, propterea quod definita sunt genera numerorum. Nam omnis talis est, ut unus sit e tribus. Pes enim, qui adhibetur ad numeros, partitur in tria, ut necesse sit partem pedis aut aequalem esse alteri parti aut altero tanto aut sesqui esse maiorem. Ita fit aequalis dactylus, duplex iambus, sesquiplex paean; qui pedes in orationem non cadere qui possunt? Quibus ordine locatis quod efficitur numerosum sit necesse est. [189] Sed quaeritur quo numero aut quibus potissimum sit utendum. Incidere vero omnis in orationem etiam ex hoc intellegi potest, quod versus saepe in oratione per imprudentiam dicimus. Est id vehementer vitiosum, sed non attendimus neque exaudimus nosmet ipsos; senarios vero et Hipponacteos effugere vix possumus; magnam enim partem ex iambis nostra constat oratio. Sed tamen eos versus facile agnoscit auditor; sunt enim usitatissimi; inculcamus autem per imprudentiam saepe etiam minus usitatos, sed tamen versus: vitiosum genus et longa animi provisione fugiendum. [190] Elegit ex multis Isocrati libris triginta fortasse versus Hieronymus Peripateticus in primis nobilis, plerosque senarios, sed etiam anapaestos; quo quid potest esse turpius? Etsi in legendo fecit malitiose; prima enim syllaba dempta ex primo verbo sententiae postremum ad verbum primam rursus syllabam adiunxit insequentis sententiae; ita factus est anapaestus is qui Aristophaneus nominatur; quod ne accidat observari nec potest nec necesse est. Sed tamen hic corrector in eo ipso loco quo reprehendit, ut a me animum adversum est studiose inquirente in eum, immittit imprudens ipse senarium. Sit igitur hoc cognitum in solutis etiam verbis inesse numeros eosdemque esse oratorios qui sint poetici.
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[kono67] - [2009-01-22 22:59:09]