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XXXVII. [128] Duo restant enim, quae bene tractata ab oratore admirabilem eloquentiam faciunt. Quorum alterum est, quod Graeci ethikon vocant, ad naturas et ad mores et ad omnem vitae consuetudinem accommodatum; alterum, quod idem pathetikon nominant, quo perturbantur animi et concitantur, in quo uno regnat oratio. Illud superius come iucundum, ad benevolentiam conciliandam paratum; hoc vehemens incensum incitatum, quo causae eripiuntur: quod cum rapide fertur, sustineri nullo pacto potest. [129] Quo genere nos mediocres aut multo etiam minus, sed magno semper usi impetu saepe adversarios de statu omni deiecimus. Nobis pro familiari reo summus orator non respondit Hortensius; a nobis homo audacissimus Catilina in senatu accusatus obmutuit; nobis privata in causa magna et gravi cum coepisset Curio pater respondere, subito adsedit, cum sibi venenis ereptam memoriam diceret. [130] Quid ego de miserationibus loquar? Quibus eo sum usus pluribus quod, etiam si plures dicebamus, perorationem mihi tamen omnes relinquebant; in quo ut viderer excellere non ingenio sed dolore adsequebar. Quae qualiacumque in me sunt—me [enim] ipsum paenitet quanta sint—, sed apparent in orationibus, etsi carent libri spiritu illo, propter quem maiora eadem illa cum aguntur quam cum leguntur videri solent.
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[kono67] - [2009-01-08 17:17:46]