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Cicerone - Rhetorica - Orator - 32

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XXXII. [113] Esse igitur perfecte eloquentis puto non eam tantum facultatem habere quae sit eius propria, fuse lateque dicendi, sed etiam vicinam eius ac finitimam dialecticorum scientiam adsumere. Quamquam aliud videtur oratio esse aliud disputatio, nec idem loqui esse quod dicere, ac tamen utrumque in disserendo est: disputandi ratio et loquendi dialecticorum sit, oratorum autem dicendi et ornandi. Zeno quidem ille, a quo disciplina Stoicorum est, manu demonstrare solebat quid inter has artis interesset; nam cum compresserat digitos pugnumque fecerat, dialecticam aiebat eius modi esse; cum autem deduxerat et manum dilataverat, palmae illius similem eloquentiam esse dicebat. [114] Atque etiam ante hunc Aristoteles principio artis rhetoricae dicit illam artem quasi ex altera parte respondere dialecticae, ut hoc videlicet differant inter se quod haec ratio dicendi latior sit, illa loquendi contractior. Volo igitur huic summo omnem quae ad dicendum trahi possit loquendi rationem esse notam; quae quidem res, quod te his artibus eruditum minime fallit, duplicem habuit docendi viam. Nam et ipse Aristoteles tradidit praecepta plurima disserendi et postea qui dialectici dicuntur spinosiora multa pepererunt. [115] Ego eum censeo qui eloquentiae laude ducatur non esse earum rerum omnino rudem, sed vel illa antiqua vel hac Chrysippi disciplina institutum. Noverit primum vim, naturam, genera verborum et simplicium et copulatorum; deinde quot modis quidque dicatur; qua ratione verum falsumne sit iudicetur; quid efficiatur e quoque, quid cuique consequens sit quidve contrarium; cumque ambigue multa dicantur, quo modo quidque eorum dividi explanarique oporteat. Haec tenenda sunt oratori —saepe enim occurrunt—, sed quia sua sponte squalidiora sunt, adhibendus erit in his explicandis quidam orationis nitor.

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[kono67] - [2009-01-08 17:10:45]

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