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Cicerone - Rhetorica - Orator - 28

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XXVIII. [97] Tertius est ille amplus copiosus, gravis ornatus, in quo profecto vis maxima est. Hic est enim, cuius ornatum dicendi et copiam admiratae gentes eloquentiam in civitatibus plurimum valere passae sunt, sed hanc eloquentiam, quae cursu magno sonituque ferretur, quam suspicerent omnes, quam admirarentur, quam se adsequi posse diffiderent. Huius eloquentiae est tractare animos, huius omni modo permovere. Haec modo perfringit, modo inrepit in sensus; inserit novas opiniones, evellit insitas. [98] Sed multum interest inter hoc dicendi genus et superiora. Qui in illo subtili et acuto elaboravit ut callide arguteque diceret, nec quicquam altius cogitavit, hoc uno perfecto magnus orator est, et si non maximus; minimeque in lubrico versabitur et, si semel constiterit, numquam cadet. Medius ille autem, quem modicum et temperatum voco, si modo suum illud satis instruxerit, non extimescet ancipites dicendi incertosque casus; etiam si quando minus succedit, ut saepe fit, magnum tamen periculum non adibit: alte enim cadere non potest. [99] At vero hic noster, quem principem ponimus, gravis acer ardens, si ad hoc unum est natus aut in hoc solo se exercuit aut huic generi studuit uni nec suam copiam cum illis duobus generibus temperavit, maxime est contemnendus. Ille enim summissus, quod acute et veteratorie dicit, sapiens iam, medius suavis, hic autem copiosissimus, si nihil aliud est, vix satis sanus videri solet. Qui enim nihil potest tranquille, nihil leniter, nihil partite definite distincte facete dicere, praesertim cum causae partim totae sint eo modo partim aliqua ex parte tractandae si is non praeparatis auribus inflammare rem coepit, furere apud sanos et quasi inter sobrios bacchari vinulentus videtur.

[100] Tenemus igitur, Brute, quem quaerimus, sed animo; nam manu si prehendissem, ne ipse quidem sua tanta eloquentia mihi persuasisset ut se dimitterem.

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[kono67] - [2009-01-04 17:09:09]

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