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Cicerone - Rhetorica - Orator - 22

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XXII. Hic genere toto, at persona alii peccant aut sua aut iudicum aut etiam adversariorum, nec re solum sed saepe verbo; etsi sine re nulla vis verbi est, tamen eadem res saepe aut probatur aut reicitur alio atque alio elata verbo. [73] In omnibusque rebus videndum est quatenus; etsi enim suus cuique modus est, tamen magis offendit nimium quam parum; in quo Apelles pictores quoque eos peccare dicebat qui non sentirent quid esset satis. Magnus est locus hic, Brute, quod te non fugit, et magnum volumen aliud desiderat; sed ad id quod agitur illud satis. Cum hoc decere—quod semper usurpamus in omnibus dictis et factis, minimis et maximi—cum hoc, inquam, decere dicimus, illud non decere, et id usquequaque quantum sit appareat in alioque ponatur aliudque totum sit, utrum decere an oportere dicas; [74] oportere enim perfectionem declarat offici, quo et semper utendum est et omnibus, decere quasi aptum esse consentaneumque tempori et personae; quod cum in factis saepissime tum in dictis valet, in vultu denique et gestu et incessu, contraque item dedecere; quod si poeta fugit ut maximum vitium, qui peccat etiam, cum probi orationem adfingit improbo stultove sapientis; si denique pictor ille vidit, cum in immolanda Iphigenia tristis Calchas esset, tristior Vlixes, maereret Menelaus, obvolvendum caput Agamemnonis esse, quoniam summum illum luctum penicillo non posset imitari; si denique histrio quid deceat quaerit, quid faciendum oratori putemus?—Sed cum hoc tantum sit, quid in causis earumque quasi membris faciat orator viderit: illud quidem perspicuum est, non modo partis orationis sed etiam causas totas alias alia forma dicendi esse tractandas.

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[kono67] - [2008-12-30 17:42:54]

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