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Cicerone - Rhetorica - Orator - 1

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I. [1] Utrum difficilius aut maius esset negare tibi saepius idem roganti an efficere id quod rogares diu multumque, Brute, dubitavi. Nam et negare ei quem unice diligerem cuique me carissimum esse sentirem, praesertim et iusta petenti et praeclara cupienti, durum admodum mihi videbatur, et suscipere tantam rem, quantam non modo facultate consequi difficile esset sed etiam cogitatione complecti, vix arbitrabar esse eius qui vereretur reprehensionem doctorum atque prudentium. [2] Quid enim est maius quam, cum tanta sit inter oratores bonos dissimilitudo, iudicare quae sit optima species et quasi figura dicendi? Quod quoniam me saepius rogas, aggrediar non tam perficiendi spe quam experiendi voluntate; malo enim, cum studio tuo sim obsecutus, desiderari a te prudentiam meam quam, si id non fecerim, benevolentiam.

[3] Quaeris igitur idque iam saepius quod eloquentiae genus probem maxime et quale mihi videatur illud, quo nihil addi possit, quod ego summum et perfectissimum iudicem. In quo vereor ne, si id quod vis effecero eumque oratorem quem quaeris expressero, tardem studia multorum, qui desperatione debilitati experiri id nolent quod se assequi posse diffidant. [4] Sed par est omnis omnia experiri, qui res magnas et magno opere expetendas concupiverunt. Quod si quem aut natura sua [aut] illa praestantis ingeni vis forte deficiet aut minus instructus erit magnarum artium disciplinis, teneat tamen eum cursum quem poterit; prima enim sequentem honestum est in secundis tertiisque consistere. Nam in poetis non Homero soli locus est, ut de Graecis loquar, aut Archilocho aut Sophocli aut Pindaro, sed horum vel secundis vel etiam infra secundos; [5] nec vero Aristotelem in philosophia deterruit a scribendo amplitudo Platonis, nec ipse Aristoteles admirabili quadam scientia et copia ceterorum studia restinxit.

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[kono67] - [2008-04-18 19:02:09]

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