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Cicerone - Epistulae - Ad Atticum - 1 - 11

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1.11


Scr. Romae m. Quint. ante Sext. a. 687 (67).
CICERO ATTICO SAL.


et mea sponte faciebam antea et post duabus epistulis tuis perdiligenter in eandem rationem scriptis magno opere sum commotus. eo accedebat hortator adsiduus Sallustius ut agerem quam diligentissime cum Lucceio de vestra vetere gratia reconcilianda. sed cum omnia fecissem, non modo eam voluntatem eius quae fuerat erga te reciperare non potui, verum ne causam quidem elicere immutatae voluntatis. tametsi iactat ille quidem illud suum arbitrium et ea quae iam tum cum aderas offendere eius animum intellegebam, tamen habet quiddam profecto quod magis in animo eius insederit, quod neque epistulae tuae neque nostra adlegatio tam potest facile delere. quam tu praesens non modo oratione sed tuo vultu illo familiari tolles, si modo tanti putaris, id quod, si me audies et si humanitati tuae constare voles, certe putabis. ac ne illud mirere cur, cum ego antea significarim tibi per litteras me sperare illum in nostra potestate fore, nunc idem videar diffidere, incredibile est quanto mihi videatur illius voluntas obstinatior et in hac iracundia offirmatior. sed haec aut sanabuntur cum veneris aut ei molesta erunt in utro culpa erit.

[2] quod in epistula tua scriptum erat me iam arbitrari designatum esse, scito nihil tam exercitum esse nunc Romae quam candidatos omnibus iniquitatibus nec quando futura sint comitia sciri.

[3] verum haec audies de Philadelpho. tu velim quae Academiae nostrae parasti quam primum mittas. mire quam illius loci non modo usus sed etiam cogitatio delectat. Libros vero tuos cave cuiquam tradas; nobis eos, quem ad modum scribis, conserva. summum me eorum studium tenet sicut odium iam ceterarum rerum; quas tu incredibile est quam brevi tempore quanto deteriores offensurus sis quam reliquisti.

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[degiovfe] - [2013-05-27 18:03:23]

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