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Cicerone - Epistulae - Ad Atticum - 1 - 5

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1.5

Scr. Romae initio anni 687 (67).
CICERO ATTICO SAL.


quantum dolorem acceperim et quanto fructu sim privatus et forensi et domestico Luci fratris nostri morte in primis pro nostra consuetudine tu existimare potes. nam mihi omnia quae iucunda ex humanitate alterius et moribus homini accidere possunt ex illo accidebant. qua re non dubito quin tibi quoque id molestum sit, cum et meo dolore moveare et ipse omni virtute officioque ornatissimum tuique et sua sponte et meo sermone amantem adfinem amicumque amiseris.

[2] quod ad me scribis de sorore tua, testis erit tibi ipsa quantae mihi curae fuerit ut Quinti fratris animus in eam esset is qui esse deberet. quem cum esse offensiorem arbitrarer, eas litteras ad eum misi quibus et placarem ut fratrem et monerem ut minorem et obiurgarem ut errantem. itaque ex iis quae postea saepe ab eo ad me scripta sunt confido ita esse omnia ut et oporteat et velimus.

[3] de litterarum missione sine causa abs te accusor. numquam enim a Pomponia nostra certior sum factus esse cui dare litteras possem, porro autem neque mihi accidit ut haberem qui in Epirum proficisceretur nequedum te Athenis esse audiebamus.

[4] de Acutiliano autem negotio quod mihi mandaras, ut primum a tuo digressu Romam veni, confeceram; sed accidit ut et contentione nihil opus esset et ut ego, qui in te satis consili statuerim esse, mallem Peducaeum tibi consilium per litteras quam me dare. etenim cum multos dies auris meas Acutilio dedissem, cuius sermonis genus tibi notum esse arbitror, non mihi grave duxi scribere ad te de illius querimoniis, cum eas audire, quod erat subodiosum, leve putassem. sed abs te ipso qui me accusas unas mihi scito litteras redditas esse, cum et oti ad scribendum plus et facultatem dandi maiorem habueris.

[5] quod scribis, etiam si cuius animus in te esset offensior, a me recolligi oportere, <teneo> quid dicas neque id neglexi, sed est miro quodam modo adfectus. ego autem quae dicenda fuerunt de te non praeterii; quid autem contendendum esset ex tua putabam voluntate me statuere oportere. quam si ad me perscripseris, intelleges me neque diligentiorem esse voluisse quam tu esses neque neglegentiorem fore quam tu velis.

[6] de Tadiana re mecum Tadius locutus est te ita scripsisse, nihil esse iam quod laboraretur, quoniam hereditas usu capta esset. id mirabamur te ignorare, de tutela legitima, in qua dicitur esse puella, nihil usu capi posse.

[7] Epiroticam emptionem gaudeo tibi placere. quae tibi mandavi et quae tu intelleges convenire nostro Tusculano velim, ut scribis, cures, quod sine molestia tua facere poteris. nam nos ex omnibus molestiis et laboribus uno illo in loco conquiescemus

[8] Quintum fratrem cotidie exspectamus. Terentia magnos articulorum dolores habet. et te et sororem tuam et matrem maxime diligit salutemque tibi plurimam ascribit et Tulliola deliciae nostrae. cura ut valeas et nos ames et tibi persuadeas te a me fraterne amari.

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