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Agostino - De Trinitate - Liber Xiv - 7

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[7] Inter cetera ergo in libro decimo diximus hominis mentem nosse semetipsam. Nihil enim tam nouit mens quam id quod sibi praesto est, nec menti magis quidquam praesto est quam ipsa sibi. Et alia quantum satis uisum est adhibuimus documenta quibus hoc certissime probaretur.

[V] Quid itaque dicendum est de infantis mente ita adhuc paruuli et in tam magna demersi rerum ignorantia ut illius mentis tenebras mens hominis quae aliquid nouit exhorreat? An etiam ipsa se nosse credenda est, sed intenta nimis in eas res quas per corporis sensus tanto maiore quanto nouiore coepit delectatione sentire, non ignorare se potest sed cogitare se non potest? Quanta porro intentione in ista quae foris sunt sensibilia feratur uel hinc solum conici potest quod lucis huius hauriendae sic auida est ut si quisquam minus cautus aut nesciens quid inde possit accidere nocturnum lumen posuerit ubi iacet infans, in ea parte ad quam iacentis oculi possint retorqueri nec ceruix possit inflecti, sic eius inde non remouetur aspectus ut nonnullos ex hoc etiam strabones fieri nouerimus eam formam tenentibus oculis quam teneris et mollibus consuetudo quodam modo infixit. Ita et in alios corporis sensus quantum sinit illa aetas intentione se quasi coartant animae paruulorum ut quidquid per carnem offendit aut allicit hoc solum abhorreant uehementer aut appetant; sua uero interiora non cogitent nec possint admoneri ut hoc faciant quia nondum admonentis signa nouerunt ubi praecipuum locum uerba obtinent quae sicut alia prorsus nesciunt. Quod autem aliud sit non se nosse, aliud non se cogitare iam in eodem uolumine ostendimus.

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[degiovfe] - [2011-04-12 09:53:30]

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