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XI. 16. Si autem magis appetimus, ea quae jam parata sunt et melius dicta legere vel audire, et ideo piget incerto exitu ad tempus coaptare quae loquimur: tantum a veritate rerum non aberret animus, facile est ut si in verbis auditorem aliquid offenderit, ex ipsa occasione discat, quam sit re intellecta contemnendum, si minus integre, aut si minus proprie sonare potuit, quod ideo sonabat ut res intelligeretur. Quod si humanae infirmitatis intentio etiam ab ipsa rerum veritate aberraverit: quamquam in catechizandis rudibus, ubi via tritissima tenenda est, difficile potest accidere: tamen ne forte accidat ut etiam hinc offendatur auditor, non aliunde nobis debet videri accidisse, nisi quia Deus experiri nos voluit, utrum cum mentis placiditate corrigamur, ne in defensionem nostri erroris majore praecipitemur errore. Quod si nemo nobis dixerit, nosque et illos qui audierunt omnino latuerit, nullus dolor est, si non fiat iterum. Plerumque autem nos ipsi recolentes quae dixerimus, reprehendimus aliquid, et ignoramus quomodo cum diceretur acceptum sit, magisque dolemus, quando in nobis fervet caritas, si cum falsum esset, libenter acceptum est. Ideoque opportunitate reperta, sicut nos ipsos in silentio reprehendimus, ita curandum est, ut etiam illi sensim corrigantur, qui non Dei verbis, sed plane nostris in aliquam lapsi sunt falsitatem. Si vero aliqui livore vesano caeci errasse nos gaudent, susurrones, detractores, Deo odibiles [I Rom. i. 30]; praebeant nobis materiam exercendae patientiae cum misericordia, quia et patientia Dei ad poenitentiam eos adducit. Quid enim est detestabilius, et quod magis thesaurizet iram in die irae et revelationis justi judicii Dei [Rom. ii. 4, 5], quam de malo alterius mala diaboli similitudine atque imitatione laetari? Nonnumquam etiam, cum recte omnia vereque dicantur, aut non intellectum aliquid, aut contra opinionem et consuetudinem veteris erroris ipsa novitate asperum, offendit et perturbat audientem. Quod si apparuerit, sanabilemque se praebet, auctoritatum rationumque copia sine ulla dilatione sanandus est. Si autem tacita et occulta offensio est, Dei medicina opitulari potest. At si resiluerit, et curari recusaverit, consoletur nos dominicum illud exemplum, qui offensis hominibus ex verbo suo, et tamquam durum refugientibus, etiam iis qui remanserant ait, Numquid et vos vultis ire? [S. Joh. vi. 67] Satis enim fixum atque immobile debet corde retineri, Jerusalem captivam ab hujus saeculi Babylonia decursis temporibus liberari, nullumque ex illa esse periturum; quia qui perierit, non ex illa erat. Firmum enim fundamentum Dei stat, habens signaculum hoc: Novit Dominus qui sunt ejus, et recedat ab iniquitate omnis qui nominat nomen Domini [2 Tim. ii. 19]. Ista cogitantes, et invocantes Dominum in cor nostrum, minus timebimus incertos exitus sermonis nostri propter incertos motus auditorum, delectabitque nos etiam ipsa perpessio molestiarum pro misericordi opere, si non in eo nostram gloriam requiramus [S. Joh. vii. 18]. Tunc enim est vere opus bonum, cum a caritate jaculatur agentis intentio, et tamquam ad locum suum rediens, rursus in caritate requiescit. Lectio vero quae nos delectat, aut aliqua auditio melioris eloquii, ut eam promendo sermoni nostro praeponere volentes cum pigritia vel taedio loquamur, alacriores nos suscipiet, jucundiorque praestabitur post laborem; et majore fiducia deprecabimur, ut loquatur nobis Deus quomodo volumus, si suscipiamus hilariter ut loquatur per nos quomodo possumus: ita fit ut diligentibus Deum omnia concurrant in bonum [Rom. viii. 28].
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[degiovfe] - [2011-04-12 17:42:48]